Vincenzo

studente del quinto anno del corso di laurea a ciclo unico in Medicina e chirurgia, facoltà di Medicina e chirurgia, campus di Roma

Partite, mettetevi in viaggio lasciando da parte i pregiudizi e i timori che talvolta ci offuscano la vista, allargate lo sguardo, perché là fuori c’è un mondo che aspetta di essere conosciuto ed è pronto a dare molto più di quanto possiamo immaginare, cambiando in meglio la nostra vita.

Per me questo nuovo mondo è stato l’Uganda, più precisamente la sua capitale Kampala ed il Benedict Medical Centre (BMC), ospedale in cui insieme ai miei compagni di viaggio ho lavorato accanto a medici e infermieri locali, imparando passo dopo passo come funziona l’assistenza sanitaria nell’Africa subsahariana e scoprendo ben presto che avrei ricevuto molto più di quello che pensavo di poter dare sia dal punto di vista pratico che teorico.

Credo che la potenza comunicativa delle immagini sia impareggiabile e quindi, a testimonianza di quanto vissuto e appreso, posso raccontare due storie o meglio due volti: il primo è quello dolce di Katherine, splendida creatura a cui per la prima volta in vita mia ho tagliato il cordone ombelicale e preso in braccio raggiante per affidarla alla mamma; il secondo è quello sofferente di Nelson, ragazzo ricoverato d’urgenza per un volvolo intestinale, al cui intervento chirurgico ho potuto prendere parte, e che abbiamo visto rifiorire nei giorni successivi.

Certamente le differenze tra la sanità e la medicina a cui siamo abituati e la realtà incontrata in Uganda sono emerse suscitando in noi più di una riflessione su quanto lavoro debba ancora essere fatto per migliorare l’assistenza in questa regione. Tuttavia, proprio queste differenze sono state per noi stimolo costante per una maggiore comprensione della cultura e della società africana, nonché per un cambiamento del nostro modo di pensare e di agire in tante situazioni: non si tratta naturalmente di mettere in discussione le conquiste scientifiche e tecnologiche della medicina, ma di saper utilizzare al meglio le poche risorse a disposizione trovando soluzioni adeguate al contesto.

Un esempio pratico è la necessità di eseguire sempre un esame obiettivo preciso e completo, vista la difficoltà di accesso per gran parte della popolazione ugandese a esami strumentali complessi in fase di diagnosi. Per noi è stata un’opportunità di ripasso e approfondimento di una delle basi fondamentali della medicina clinica, talvolta trascurata in Italia proprio a seguito della diffusione di esami strumentali che in Africa sono ancora carenti.

La nostra esperienza, per quanto incentrata sull’attività presso il BMC, ci ha permesso anche di uscire dalle mura dell’ospedale e conoscere da vicino l’Uganda e la sua gente, che hanno rappresentato per noi un’altra grande fonte di scoperta e arricchimento.

La terra rossa e polverosa ed il traffico caotico di Kampala, le foreste pluviali verdeggianti e rigogliose, il maestoso lago Vittoria da cui origina il Nilo, che attraversa la savana con la sua flora e fauna meravigliose: immagini che rimarranno per sempre scolpite nella nostra memoria mescolate alla musica a tutto volume dei locali in città, al silenzio surreale della natura nei villaggi rurali del nord, alle voci e grida dei mille bambini e ragazzi che studiano nelle scuole fondate da Padre John proprio accanto al BMC, impegnandosi quotidianamente nella costruzione di un futuro migliore per sé, per le proprie famiglie e per il popolo ugandese che ci ha accolti con tanto affetto e amicizia.

A tal proposito mi vengono alla memoria ancora un paio di volti e storie, che per me hanno rappresentato concretamente l’abbraccio caloroso ricevuto dalla gente ugandese: Greg e Thomas, due bambini della primary school che mi hanno dimostrato un affetto incredibile scrivendomi anche una lettera, che custodisco con la speranza di ritrovarli un giorno cresciuti e realizzati; Vincent, il nostro autista e compagno di mille avventure, che con il sorriso e la battuta sempre pronta ci ha guidati per le strade di Kampala e oltre, trasmettendoci tutta l’allegria e la saggia leggerezza di cui gli africani sono maestri.

È stata un’esperienza indimenticabile, umanamente arricchente ed emotivamente intensa che auguro a tutti di poter intraprendere.

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