Le speranze di Kitintale

Viaggio tra le case, i sogni e le difficoltà delle famiglie di uno slum di Kampala

Daniele Valerin, Direttore di Fondazione Italia Uganda, è appena tornato da Kampala e questo è ciò che ha vissuto tra le strade della comunità di padre Giovanni.

“Sono appena rientrato dall’Uganda.
Ogni volta che torno da un viaggio come questo, porto con me volti, nomi, storie. E anche domande difficili: come si può restare indifferenti? Come possiamo davvero rispondere a chi ogni giorno lotta contro la povertà estrema, la fame, l’assenza di cure, l’impossibilità di garantire ai propri figli anche solo l’essenziale?

Questa volta, con Isaac — ex studente delle nostre scuole, oggi prezioso collaboratore — siamo tornati a Kitintale, uno degli slum di Kampala. Avevamo già visitato questo quartiere poche settimane prima, ma quello che abbiamo trovato ci ha colpiti nel profondo.

La terra, che fino a marzo era secca e spaccata dalla siccità, ora è fango. L’aria è impregnata di umidità e odori stagnanti. Le lamiere che coprono le baracche riflettono la luce opaca del mattino, mentre tra l’immondizia pascolano alcune mucche magre. Eppure, in mezzo a tutto questo, i bambini giocano. Le madri si muovono con una dignità che commuove. In Uganda la vita resiste, sempre.

Su 50 milioni di abitanti, l’età media è di 16 anni. L’Uganda è un Paese fatto di bambini. Ma troppi di loro non vanno a scuola. Non per mancanza di volontà, ma per povertà.

Abbiamo raccolto molte storie

Tutte diverse, tutte segnate da difficoltà enormi.

C’è Agnese, 27 anni, vedova con tre figli, nessuno dei quali frequenta la scuola. Jolly, 26 anni, con un marito che lavora come guardia giurata per l’equivalente di 20 euro al mese: suo figlio Augustine frequentava la seconda primaria, ma non ha potuto sostenere gli esami perché la famiglia era in arretrato con la retta.
Christine ha cinque figli: vende rifiuti di plastica per cercare di pagare la scuola, ma in questo momento tutti i bambini sono a casa. Eva, lasciata sola con due figli, ha dovuto interrompere gli studi del più grande, Pervin, perché la vendita di verdure non bastava più.

E poi c’è Tracy. Ha 15 anni e viene da un villaggio vicino a Nebbi, nel nord dell’Uganda. Dopo la morte del padre, la madre l’ha mandata a Kampala nella speranza che qualcuno potesse prendersi cura di lei e oggi vive in una baracca e lavora come babysitter per poco più di 12 euro al mese. Non ha amici, non ha scuola, non ha giochi.
Quando le abbiamo chiesto se fosse felice, prima ha scosso la testa e poi ha detto con decisione: “Vorrei tornare a casa e riprendere la scuola, anche se sarò più grande degli altri”.

Queste storie, pur così dure, non sono storie di rassegnazione. Sono storie di desiderio, di resistenza, di speranza. 

Le madri di Kitintale ci chiedono la stessa cosa che nel 1964 le donne di Awach chiesero a padre Giovanni Scalabrini, appena arrivato in Uganda: “Aiutateci a istruire i nostri figli”.

Mentre me ne andavo, ho pensato a padre John, alla sua fede incrollabile, alla sua vita spesa interamente per i più poveri. Per aspera ad astra, diceva spesso.

Ecco: affondando le scarpe nel fango rosso di Kitintale, mi è tornata in mente quella frase.
Perché proprio in mezzo alle difficoltà più grandi, questi bambini ci insegnano cosa significa davvero la parola speranza.”

Aiutaci a non spezzare questi sogni

Sostieni la campagna Emergenza Povertà e aiutaci a garantire continuità scolastica, sostegno alimentare e cure di base alle famiglie più fragili di Kitintale e di tutta Kampala.
Perché ogni bambino ha diritto a un futuro.

Sostegno a distanza: Proscovia
Sostegno a distanza: Proscovia

Post correlati