Quando Serena e Cristina hanno deciso di intraprendere il viaggio verso Kampala, in Uganda, le loro motivazioni erano diverse ma ugualmente profonde. Serena desiderava ritrovare quel luogo che aveva conosciuto quindici anni fa, quando, ancora studentessa di medicina, si era unita a un progetto di Fondazione Italia Uganda. Cristina, invece, spinta da una curiosità innata, voleva scoprire una realtà di cui aveva sentito parlare ma che faticava a immaginare.
Durante la loro permanenza, Serena e Cristina hanno lavorato al Benedict Medical Centre e hanno avuto modo di esplorare anche tanti altri progetti della nostra Fondazione: dalle scuole agli orti comunitari di Semi di Speranza, passando per le officine di formazione. In questa esperienza hanno toccato con mano l’impegno di Fondazione Italia Uganda nel promuovere l’autonomia e l’autosufficienza della comunità locale e hanno percepito un profondo senso di gratitudine da parte di chi beneficiava di questi progetti.
Un’accoglienza ugandese
“Partiamo cariche di entusiasmo ed emozione per un lungo viaggio di quasi 24 ore” raccontano Serena e Cristina “e arriviamo alla missione di padre John. Siamo subito accolte in perfetto stile africano: una cena a lume di candela… per un black out elettrico, ma con musica e tanta allegria da parte di tutti i ragazzi della missione e dei due giovani volontari italiani che erano giá presenti.
La missione che ci ha ospitato é una piccola comunità con la quale abbiamo condiviso momenti e spazi della quotidianità. Siamo state accolte e trattate come due della famiglia attraverso tante piccole attenzioni quotidiane: abbiamo percepito subito un atteggiamento di riconoscimento e di gratitudine verso tutto ciò che si possiede e verso chi si incontra. Un dono che viene condiviso con gioia all’interno della comunità.
La nostra esperienza in ospedale ci ha permesso di capire che lá non mancano le competenze: i medici e gli infermieri sono preparati. Il fatto è che devono vedersela con la scarsità delle risorse e con una sanità a pagamento. La proposta di cura va quindi sempre modulata sulla base delle possibilità economiche del paziente che ti trovi di fronte.
La mancanza di risorse strumentali e il costo delle prestazioni condiziona il percorso diagnostico e terapeutico, che è basato soprattutto sui dati clinici e volto a prevenire le complicanze più gravi, molto più frequenti rispetto che da noi in Italia e piú difficilmente recuperabili.
Nel corso di questa esperienza siamo rimaste colpite e affascinate dalla figura e dal ruolo che la donna riveste nella comunitá, mostrando tutta la sua forza e tenacia pur mantenendo sempre un atteggiamento calmo e pacato.
Il sentimento della gratitudine permea ogni contesto in cui siamo state: dalla missione, all’ospedale fino ai contesti più poveri come le baraccopoli.
La gratitudine sposta il focus da quello che ci manca a quello che abbiamo e ci ricorda che la vita , pur con tutte le sue imperfezioni, é comunque piena di bellezza e benedizione e dobbiamo esserne grati.
Le nostre abitudini e i nostri ritmi di vita ci portano a una lotta per ottenere sempre di piú e ci fanno dimenticare di apprezzare ciò che già abbiamo e che per molti non è scontato: una casa con luce e acqua, un pasto sempre caldo, un accesso libero e sicuro alle cure sanitarie.
É questo che ci portiamo nel cuore: gli occhi scuri, profondi e pieni di gratitudine e speranza di tutte le persone che abbiamo incontrato. Il loro sorriso spontaneo e accogliente”.
Una lezione di vita
Questa esperienza ha lasciato in Serena e Cristina un messaggio indelebile: la bellezza della gratitudine. Presso la missione di padre John hanno imparato ancora di più ad apprezzare ciò che spesso si dà per scontato. Perché la vita, pur con le sue imperfezioni, è un dono prezioso e la vera ricchezza non sta in ciò che manca, ma in ciò che si ha.
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