Ci sono viaggi che ti cambiano per sempre. Per Arianna, parte del team di Fondazione Italia Uganda, tornare a Kampala è stata un’esperienza che le ha aperto gli occhi sulla vera essenza di questo Paese e delle persone che lo abitano. Nel corso delle due settimane che ha trascorso alla missione di padre John, Arianna ha potuto vedere con i propri occhi la forza delle comunità, il sorriso dei bambini nelle scuole, la resilienza di chi lotta ogni giorno per un futuro migliore. E oggi ci racconta tutto questo.
“Lo scorso novembre sono tornata in Uganda per una missione di due settimane con Fondazione Italia Uganda. Non era la mia prima volta, ma questa occasione è stata diversa: ho avuto la sensazione di vedere davvero l’Uganda, andando oltre le strade trafficate di Kampala e immergendomi nei villaggi, nelle scuole e nelle comunità che ogni giorno beneficiano dei nostri progetti umanitari in Uganda.
Sono stati giorni intensi, pieni di incontri e attività, vissuti fianco a fianco con le colleghe ugandesi che, con passione e determinazione, portano avanti i progetti sul territorio. Vedere con i miei occhi i frutti del nostro lavoro è stato profondamente importante e significativo.
Il viaggio è iniziato dalla scuola primaria BCK, dove ho potuto vedere da vicino uno dei progetti più importanti su cui stiamo lavorando: la costruzione del nuovo refettorio. Immaginare quel grande spazio pieno di bambini che finalmente potranno consumare i pasti in un ambiente sicuro e accogliente mi ha riempito di emozione. È incredibile pensare a quanto anche un solo edificio possa fare la differenza nella quotidianità di centinaia di studenti.
Dalla scuola BCK mi sono poi spostata negli Acholi Quarters, una delle zone più difficili di Kampala. Qui mi aspettava un incontro speciale con le donne del progetto “Semi di Speranza“. Ognuna di loro mi ha accolta con sorrisi colmi di orgoglio, mostrandomi con entusiasmo il proprio orto: vedere le loro mani curare quelle piccole coltivazioni, che per loro rappresentano una fonte di sostentamento e indipendenza, è stato toccante. C’era un’energia positiva nell’aria, il senso di un riscatto che passa attraverso gesti semplici ma fondamentali per la loro dignità e il loro futuro.
Proseguendo il viaggio, nel cuore dello slum, ho incontrato Rehema e la sua bambina, Rahuma. La piccola aveva da poco subito un’operazione alla testa e stava affrontando la fase di guarigione: il racconto della madre, il modo in cui parlava delle difficoltà attraversate e della speranza con cui aveva affrontato tutto, mi ha lasciato senza parole. È stato uno di quei momenti in cui capisci davvero quanto il nostro lavoro possa fare la differenza: dietro ogni numero, ogni progetto, ci sono storie di vita, volti, emozioni vere.
Poco dopo, ho visitato la scuola Side View, dove solo due mesi prima un incendio aveva messo a rischio l’istruzione di tantissimi studenti. Eppure, nonostante tutto, la scuola era di nuovo operativa: gli studenti erano in classe, concentrati sulle lezioni e molti di loro si stavano preparando agli esami di fine anno. Il preside e l’intera comunità non si erano lasciati abbattere: la scuola era tornata a essere un luogo di crescita, simbolo di resistenza e voglia di guardare avanti.
Uno dei momenti più emozionanti del viaggio è stato l’arrivo alla scuola di Awach, a Gulu. Appena scesa dall’auto, un gruppo di bambini mi ha circondata, accogliendomi con un entusiasmo travolgente. C’era chi rideva, chi mi prendeva per mano, chi mi guardava con curiosità. Alcuni stavano preparando una partita di calcio, altri erano in classe, immersi nello studio. Qui ho avuto anche l’occasione di vedere con i miei occhi i risultati di un altro progetto fondamentale: il dormitorio che abbiamo contribuito a sistemare. La preside ce lo ha mostrato con fierezza e nel suo sguardo si leggeva con chiarezza tutta la gratitudine per quello che era stato fatto.
Ma la vera essenza di questo viaggio l’ho trovata nelle famiglie che ci hanno accolto nei loro villaggi, condividendo con noi le loro storie.”
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